MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE
Ferrara - Italy

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Fausto Pesarini
già direttore del Museo e ora Conservatore onorario per l’entomologia
Lavorare (o vivere?) in un museo di storia naturale

Se devo pensare a quali siano state, tanti anni fa, le circostanze per cui sarei diventato un naturalista e, per giunta, di quella specie particolare che sceglie deliberatamente di lavorare (ma potrei dire vivere…) in un museo di storia naturale, bene, penso che per prima cosa si dovrebbero distinguere le circostanze comuni a molti da quelle che credo essere state condizioni o situazioni mie personali: magari riconoscibili in qualcosa di simile nella storia e nelle vicende di altri ma sicuramente non identiche a quelle.

Fausto PesariniNel mio caso di circostanze di questa seconda specie ce n’è stata sicuramente una, in fondo una sola, seppure – credo – la più determinante: mio fratello Carlo, più grande di me di diversi anni, appassionato di scienze naturali e di animali sin da quando era un bimbetto (ed io ancora in fasce) e, fatto non trascurabile, vero e proprio genio istintivo e naturale, come riuscì poi a dimostrare in tanti modi insoliti, forse anche incoerenti e tutti, peraltro, non remunerativi (ma questo è normale per tutti i veri naturalisti). Io – detto in poche parole – gli andavo dietro in tutto e m’infiammavo a poco a poco delle stesse passioni che lui mi trasmetteva consapevolmente e inconsapevolmente.

Ecco, questa prima circostanza mi è insomma esclusiva: non posso dare consigli, non posso insegnare a nessuno, sulla base della mia personale esperienza, quale sia il prerequisito più importante: perché, com’è ovvio, il fratello in questione era il mio e solo il mio.

Venendo invece a tutto ciò che può rientrare in un patrimonio comune di esperienze e di circostanze, voglio sùbito sottolineare qualcosa che non credo sia una occorrenza casuale, ma al contrario una costante per tutti coloro i quali hanno finito per fare le stesse scelte e seguìto la mia stessa strada: in fondo l’ho già detto all’inizio, con quell’inciso, «tanti anni fa».

Quel «tanti anni fa» non discende soltanto dal fatto, ahimé incontrovertibile, che di anni sul gobbo ne ho parecchi, ma da un dato di fatto che credo spieghi tutto di per sé, se soltanto fossimo capaci di argomentare cose così profonde e misteriose.
Mi spiego, perché non vorrei sembrare volutamente oscuro: certe “vocazioni” o si manifestano prestissimo o non si manifestano affatto. Uno potrà scegliere “da grande” di diventare un agente immobiliare o un progettista d’interni, sarà forse al momento fatidico del “cosa farò dopo” (sottinteso gli studi) che si inclinerà in una direzione piuttosto che in un’altra; ma non credo proprio che uno possa diventare mai un naturalista se non lo era già, a modo suo, in calzoncini corti.

Da piccoli, tra l’altro, si hanno capacità impensabili per un adulto di imparare e memorizzare. Qualcuno ha detto efficacemente che la vera cultura di una persona è ciò che sa dopo “aver dimenticato tutto”, cioè dopo aver dimenticato quello che aveva imparato per forza; e se non arrivo certo a dire che quelle basi inossidabili del proprio sapere siano tutte infantili, mi spingo a sostenere che queste ultime sono le più incrollabili. E si sa – o non si sa, ma è così –, la capacità di riconoscere dettagli, particolari, caratteristiche delle innumervoli forme di animali e di piante e incasellarle nelle giuste categorie tra le quali ‘navigare’ a proprio agio come guidati da ‘mappe mentali’, queste capacità si fondano, dicevo, su acquisizioni precocissime di forme e di nomi più o meno elementari. Non c’è molta scienza, dietro a tutto questo: queste però ne sono le basi imprescidibili. Quando si è piccoli e si deve ancora ‘sbocciare’, be’, se scocca una qualche scintilla quelle basi le acquisisci con uno schiocco di dita.

E per che cos’era scoccata la scintilla in quel bimbetto in calzoncini corti di… tanti tanti anni fa? Ma per il mondo degli animali, ovviamente! Tutti tutti, all’inizio senza distinzioni (la passione per gli insetti in particolare sarebbe venuta dopo, attorno ai… dieci anni). Animali di cui avevo imparato tutti i nomi latini, come per magìa: quella stessa magìa per cui anche oggi tanti bimbi conoscono i nomi latini di tutti i dinosauri.

Ecco, questo mi dà l’occasione per dire qualcosa che potrebbe anche assomigliare a un consiglio, a un suggerimento. Se il pargolo ha inclinazioni per la natura e per le scienze naturali, fate in modo che in casa ci siano dei bei libri illustrati! Abituatelo a sfogliarli e a leggerli, non pensate che basti la natura viva di un parco faunistico o meno che mai quella virtuale del web: i libri restano, diventano dei compagni che si tornano a sfogliare, e molto di ciò che noi adulti sappiamo (dopo aver dimenticato tutto…) lo abbiamo imparato così.
Altro suggerimento, che traggo dalla mia “storia” personale. E qui vengo al soggetto museo. Il sottoscritto, fino all’età di “giovane adulto” (trent’anni) aveva sempre vissuto a Milano. Dove, com’è noto (o come dovrebbe essere noto) c’è un grande e bel Museo di Storia Naturale.

L’esistenza di un tale museo costituisce di per sé una risorsa eccezionale per suscitare interessi e curiosità, e anche per ‘allenare’ quelle capacità mentali di cui si diceva prima. D’accordo, non dappertutto ci sono musei di storia naturale come a Milano, ma ce ne sono altri in molte città. A Ferrara c’è, non è così grande ma certamente è bellissimo. Quindi una visita a questo come ad un altro di questi musei può essere, anzi dovrebbe essere un’occasione da dare a tutti i bimbi, di tutte le fasce di età. Direi meglio: da non far mancare. Come ho già avuto occasione di dire e scrivere in altra sede, del Museo di Storia Naturale di Milano già da piccolo conoscevo «ogni buffa espressione delle scimmie impagliate che si affacciavano nelle sue vetrine», questo per dire che era per me uno dei luoghi privilegiati dove passare il tempo, dove trascinare i miei amichetti e dove trovare infiniti spunti per fantasticare (dovevi arrangiarti da solo, con la scuola non ci si andava ancora e gli animatori didattici sarebbero arrivati molto tempo dopo).

Insomma, si poteva capire già allora che avrei ‘puntato’ in quella direzione. Anzi, a ben vedere, cominciai a nutrire una vocazione ‘museologica’ (senza sapere peraltro cosa potesse significare) ancora prima che si svegliasse in me il ‘naturalista di campagna’. Forse il fatto di essere nato e cresciuto in una grande città, in un grande condominio, in un appartamento, mi rendeva più facile, più ovvio, direi più ‘naturale’ se non sembrasse una contraddizione in termini, appassionarmi prima per le innumerevoli forme di animali e di organismi viventi, per i loro nomi e per la loro classificazione che non per le scorribande in campagna (?) dove andare a cercare lucertole, rospi, salamandre, girini (?!) che ditemi voi a Milano come si faceva. Insomma, la “vertigine della lista”, come l’avrebbe chiamata Umberto Eco parlando del collezionismo e dei collezionisti (da lì sono nati i musei) piuttosto che il richiamo della foresta.

Comunque presto sarebbero arrivati anche rospi, salamandre, girini, che portavo anche a casa (sempre dietro al mio fratellone), come un biacco che scappò sul terrazzino del piano di sotto e di cui non seppi più nulla (per mia fortuna) o come gli allevamenti di tanti tipi di insetti dentro a vasche, vaschette e vaschettine di plexiglas quando già avevo deciso che sarei diventato un entomologo e che avrei lavorato in un museo di storia naturale.

Fausto Pesarini, giugno 2020
 

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